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Pedagogia empirica, andragogia, neuroplasticità.

Riflessioni sulle strategie efficaci nel servizio di consulenza per il sostegno alla persona adulta, con motivazione e consapevolezza.

Nella complessità dei sistemi sociali e nelle diverse strategie per portare sostegno alle persone adulte, sono convinto che sia necessario riflettere maggiormente sulle potenzialità della pedagogia empirica, disciplina che approfondisce le tematiche dell’apprendimento attraverso l’esperienza.

Solitamente, quando di parla di apprendimento, si rimanda ad aspetti correlati alle dinamiche docente-alunno, ma per gli adulti imparare è qualcosa di molto più pratico e legato all’esperienza.

Questo è stato approfondito dagli studi sull’andragogia, specifica branca della pedagogia proprio destinata alle persone adulte.

In questa direzione ritengo sia necessario approfondire la parte empirica della scienza pedagogica con un approccio che sostiene che non si impara solo dai libri o dalle lezioni frontali, ma soprattutto dall’esperienza diretta e dalla riflessione su ciò che viviamo.

Sostengo l’empirismo in Pedagogia in contrapposizione si sistemi razionali del passato che portavano alla logica del riduzionismo e all’irrigidimento delle esperienze educative: oggi ci sono molte variabili e non ci deve essere delega alla scuola, in tutti i suoi settori.

L’attributo “empirico” si riferisce proprio a tutto ciò che è basato sull’esperienza e, in una visione empirica della pedagogia, l’apprendimento avviene principalmente attraverso il fare e l’osservare. Questo approccio è particolarmente potente per la formazione degli adulti, perché prende in considerazione le esperienze già accumulate nel corso della vita e le utilizza come base per costruire nuove competenze e conoscenze.

Le radici della pedagogia empirica affondano nelle teorie filosofiche dell’empirismo sostenute da pensatori come John Locke e David Hume, e sono stati sviluppati da pedagogisti come John Dewey, che ha promosso l’idea di “imparare facendo”, un concetto che oggi suona moderno e vicino alle esigenze della formazione professionale e continua.

È pleonastico che questa prospettiva del processo di crescita della persona adulta e del suo invecchiamento porta a favorire una direzione di studi che mira a considerare la globalità della persona stessa, nella sua totalità, oltre al riduzionismo che spesso caratterizza gli approcci clinici. Si parla di multidimensionalità e multidirezionalità dello sviluppo delle abilità, tipici del modello bifattoriale dell’intelligenza proposta addirittura da Raymond Cattell. Proprio per questo autore, l’intelligenza deve essere considerata sia nelle abilità legate alla comprensione di nuovi dati e alla costruzione di inferenze (abilita fluide), sia abilita legate all’esperienza e alle conoscenze (abilita cristallizzate), con diverse traiettorie di sviluppo nel corso della vita, laddove le conoscenze generali, verbali e numeriche sembrano rimanere inalterate fino ai 70 anni e quelle legate all’intelligenza fluida subirebbero un declino più accentuato con l’avanzare dell’età. Anche Cesare Cornoldi ha suggerito un interessante modello per distinguere le forme di intelligenza nelle fasi di crescita e di invecchiamento della persona adulta differenziando l’intelligenza di base, quale elemento più primitivo, basato su aspetti genetici, e l’intelligenza in uso, quella che si manifesta nel quotidiano, con l’interazione dei molti altri fattori esperienziali, sociali.

Con l’età adulta e via via con l’invecchiamento, oltre ai sistemi di compensazione cerebrale, emergono anche strategie vere e proprie per fronteggiare le perdite.

Mi riferisco in questo caso alla plasticità cognitiva, nota anche come flessibilità, individuata quale la modificabilità dovuta alla possibilità di migliorare la prestazione cognitiva attivando le abilita che si mantengono intatte nell’età adulta e poi nell’invecchiamento. Ad esempio, nell’ambito della memoria, già sono attivi vari tipo di training con diversi scopi: sulla memoria di lavoro; strategici, per la memoria episodica; metacognitivi, per un atteggiamento attivo verso compiti e il loro utilizzo.

Sostenitore di approcci globali piuttosto che analitici, ritengo quindi che tra gli interventi, oltre a quelli propriamente clinici, siano importanti anche quelli propri della psicopedagogia nell’ambito della formazione permanente, dell’apprendimento e della formazione continui della persona adulta, proprio perché incidono su molti aspetti della neuroplasticità e conseguentemente del benessere fisico, psicologico e sociale.

Ecco che l’adulto, grazie non solo al bagaglio esperienziale e culturale, ma anche alle motivazioni, all’apprendimento permanente e a un atteggiamento emotivo più positivo, riuscirebbe a utilizzare al meglio le risorse cognitive e favorire la neurogenesi. Mi voglio riferire all’idea che l’età adulta e poi l’invecchiamento possono costituire non tanto un fattore patologico di per sé, ma un fattore additivo semplicemente facilitando l’espressione clinica di una malattia. In questo l’apprendimento permanente può fare la sua parte. Mi riferisco all’educazione permanente e degli adulti anche perché costituisce una possibilità di crescita e di training rispetto ai vincoli biologici.

Durante l’infanzia e l’adolescenza, ma anche nella prima età adulta, vengono acquisite notevoli quantità di conoscenze in modo intensivo durante i percorsi scolastici e accademici, seguiti però da un obiettivo preciso che consiste nell’acquisizione di un titolo di studio e nel completamento rigoroso dei percorsi di apprendimento obbligatori o comunque correlati allo sviluppo di competenze per la ricerca di lavoro. Un ulteriore apprendimento può anche essere conseguente a eventuali danni neurologici come nel caso delle lesioni, anche in giovane età, come può succedere dopo un incidente stradale o domestico e si deve nuovamente imparare.

Invece, con l’età più adulta, le cose cambiano e questa necessità di acquisire continuamente nuove conoscenze si distingue in almeno due aspetti: uno intrinseco alla persona, guidato dalla curiosità e sete di conoscenza, l’altro motivato e indirizzato alla formazione professionale ed al lavoro.

Le ricerche sulla neuroplasticità relativi all’apprendimento hanno accertato che il cervello non cambia automaticamente ogni qualvolta si apprende qualcosa, ma solamente se quanto appreso porta ad un migliore comportamento, che deve essere rilevante e necessario.

È chiaro quindi che la motivazione e la consapevolezza giocano ruoli determinanti nell’apprendimento e nella neuroplasticità positiva, cioè quando cervello aumenta il numero di connessioni, la loro efficienza, la specializzazione, per ottenere capacità di imparare con maggiore velocità, con capacità di memorizzare e concentrarsi meglio, essere resiliente ai fattori stressogeni e gestire meglio le emozioni, parimenti al recuperare eventuali insulti.

Un apprendimento continuo supportato dalle strategie delle scienze psicopedagogiche nella loro espressione di educazione dell’età adulta, possono quindi superare la neuroplasticità negativa, allorquando il cervello riduce le sue dimensioni con conseguente decadimento funzionale, che molti vivono nell’età anziana ma anche molto prima.

 

Gli adulti apprendono in modo diverso dai bambini: non solo portano con sé un bagaglio di esperienze, ma spesso sono alla ricerca di soluzioni pratiche a problemi reali. Questo rende l’approccio empirico particolarmente adatto alla loro formazione, perché permette di collegare il nuovo apprendimento direttamente alla loro vita quotidiana.

Sull’autonomia personale quale concetto di adultità correlato alle forme educative si sono espressi in molti pensatori, ma tra questi vorrei citarne uno che riprenderò nel prossimo capitolo: Malcolm Shepherd Knowles, educatore statunitense che nell’articolo “Androgogy, not pedagogy” del 1968 per primo parlò di andragogia fissando sei principali assunti che la distinguono dalla pedagogia.

È addirittura l’obiettivo finale dell’andragogia quello di aiutare l’adulto nel progressivo processo di acquisizione di autonomia, rendendolo consapevole dei migliori comportamenti da adottare per favorire questo percorso, che l’autore cita proprio al secondo dei suoi sei assunti riferendosi al concetto di sé: l’adulto è pensato proprio nella sua concezione di autonomia e indipendenza, tanto che qualora le istituzioni irregimentate o le culture sociali gli dovessero imporre  una limitazione o impedire la possibilità di autodeterminarsi e autogovernarsi, verrebbe prodotta una forte distonia tra il sé e quella situazione sociale che potrebbe arrivare anche ad una resistenza all’apprendimento o ad azioni per il cambiamento forzato della situazione.

Per un adulto, imparare qualcosa di nuovo ha più senso quando può collegarlo a ciò che già conosce o ha vissuto. Che sia un’esperienza di lavoro o personale, la pedagogia empirica favorisce questo collegamento, permettendo di vedere immediatamente l’applicabilità di ciò che si sta imparando.

Gli adulti sono più autodiretti rispetto ai bambini: vogliono poter scegliere cosa e come imparare. L’approccio empirico incoraggia questa autonomia, permettendo agli adulti di sperimentare e riflettere sui risultati, tanto che l’apprendimento diventa un processo attivo e personale, direttamente nel contesto reale, dove le competenze apprese vengono subito messe in pratica.

 

Ho individuato alcune metodologie strategiche per mettere in pratica “sul campo” la pedagogia empirica all’interno dei processi di consulenza per adulti, tutte centrati sull’esperienza:

  1. apprendimento basato sui progetti, dove gli adulti lavorano su progetti pratici e reali del loro processo di cambiamento. Così come è particolarmente efficace in ambito professionale, lo diventa in ambito di relazione di aiuto;
  2. cooperative learning (l’apprendimento cooperativo), imparando dal confronto con gli altri con una condivisione, come nel T-Group (training group), per lo scambio di idee e soluzioni, con lo sviluppo anche competenze relazionali fondamentali e la consapevolezza di non essere da soli a percorrere alcuni sentieri di vita;
  3. apprendimento situato, su situazioni specifiche, dove le conoscenze e le competenze vengono acquisite direttamente nel contesto in cui saranno utilizzate, attraverso simulazioni o affiancamenti che il percorso di sostegno favorisce, come in un laboratorio;
  4. apprendimento riflessivo, dove gli adulti sono incoraggiati a pensare alle loro esperienze, a riflettere su ciò che hanno imparato e a valutare cosa ha funzionato e cosa no, basato su un ciclo continuo di esperienza, riflessione, concettualizzazione e sperimentazione del proprio passato di coppia e/o di genitore.

L’approccio empirico alla pedagogia è una sfida e un’opportunità: non è sempre semplice da implementare, tuttavia, con il giusto supporto, la maggior parte delle persone può adattarsi e trarre grandi benefici.

La consulenza pedagogica per adulti deve impegnare il professionista alla ricerca di simulazioni pratiche che non sono sempre facili da organizzare, favorendo la creazione di ambienti immaginari che poi possono tradursi nel pratico.

In questo percorso possono essere efficaci tecniche di rilassamento come la mindfulness e l’ipnosi non clinica, per valorizzare le esperienze passate promuovendo l’autonomia per affrontare le sfide del presente e del futuro.

 

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