In questi giorni il concetto di patriarcato è diventato l’ennesimo tema di scontro politico, portando a mio parere a una pericolosa ideologizzazione di un evento sociale che invece deve essere decostruito sulla base degli approcci interdisciplinari delle scienze sociali, psicologiche, antropologiche, pedagogiche e giuridiche, senza riduzioni della sua complessità.
Il concetto di patriarcato si riferisce a un sistema sociale in cui il potere è principalmente detenuto dagli uomini in vari ambiti come la famiglia, l’economia, la politica e la cultura.
Occorre coglierne pienamente gli aspetti funzionalisti, culturali e storici, in un contesto più ampio, che tenga conto delle criticità del patriarcato, come l’oppressione delle donne, la limitazione delle loro libertà e l’ineguaglianza di genere, che permetta di analizzare il patriarcato in maniera più sfumata e non ideologica.
Nella storia delle relazioni umane il patriarcato ha fornito un modello di organizzazione sociale semplice, che riduceva la complessità e semplificava le dinamiche di rapporto tra i generi, basandosi su quello che culturalmente veniva tramandato soprattutto dalle religioni. Si pensi alla stessa idea di creazione della donna da parte del divino, la sua collocazione in un contesto familiare preciso.
A uomini e donne erano assegnai ruoli chiari a uomini e donne, facilitando la divisione del lavoro: c’erano i responsabili maschi della caccia, della guerra e della politica, mentre le donne si dedicavano alla cura della famiglia e alla gestione domestica.
Una divisione dei ruoli considerata funzionale alla sopravvivenza di molte società antiche in cui era necessario garantire protezione e sostentamento, con la creazione di strutture di leadership stabile, dove il potere veniva trasmesso attraverso linee di discendenza maschile, semplificando la gestione di proprietà, terre e risorse, a garanzie delle tradizioni culturali, contribuendo alla conservazione della storia e dei valori comunitari.
Nelle società l’autorità maschile era centralizzata all’interno delle famiglie e delle comunità per fornire una guida unitaria, sicurezza fisica e politica, riducendo i conflitti interni e stabilizzando le relazioni sociali in contesti caratterizzati da rischi costanti di guerre, carestie, disastri naturali.
Non solo: la figura maschile come capo famiglia era associata al mantenimento dell’ordine e della disciplina all’interno del nucleo domestico (chi non ricorda le frasi delle mamme “quando torna papà gli dico che hai fatto i capricci e vedrai!!” o “questa cosa non la diciamo a papà”) fornendo un modello stabile di relazioni familiari per garantire l’educazione e il benessere dei figli.
Con questo sistema di organizzazione sociale di tipo patriarcale ci sono state anche grandi conquiste culturali, scientifiche e artistiche: le donne accudivano i figli e dedicavano a loro la vita, per farli diventare poeti, navigatori, santi, esploratori, politici.
A mio parere, analizzando i diversi contesti storici e culturali nei quali le società occidentali sur-moderne oggi sono immerse, si possono evidenziare delle criticità e degli aspetti negativi del patriarcato, poiché è un sistema che perpetua disuguaglianze di genere e limitazioni sociali.
Basti pensare come storicamente abbia imposto ruoli rigidi e subordinati alle donne, negando loro la possibilità di scegliere liberamente il proprio percorso di vita, sia personale che professionale, escludendole dalle sfere pubbliche e decisionali, come la politica, l’economia e l’istruzione, perpetuando una dipendenza dagli uomini, nelle cui mani è concentrato il potere, creando una disparità sistemica in termini di accesso alle risorse economiche, ai diritti legali e alle opportunità lavorative.
Il fatto è, a mio parere, che questo sistema ha normalizzato la discriminazione e il sessismo, rendendo difficile per le donne raggiungere posizioni di leadership e influenzare le dinamiche sociali, con una doppia penalizzazione, tipica delle visioni stereotipate, non solo per le donne ma anche gli uomini, poiché ha imposto a loro dei ruoli rigidi, come quello di “protettori” o “sostenitori finanziari”, limitando l’espressione della loro identità e la libertà di scegliere percorsi alternativi.
Ritengo che nella storia il patriarcato abbia diffuso le idee tossiche di mascolinità, come la necessità di dimostrare forza, potere e dominio, contribuendo a fenomeni come la violenza di genere, normalizzando e giustificando la violenza contro le donne attraverso pratiche come il matrimonio forzato, la mutilazione genitale femminile, il controllo sui loro corpi e sulla loro sessualità, favorendo una cultura dell’impunità per gli abusi domestici e sessuali, relegando tali questioni a problemi privati e negando alle vittime giustizia e protezione.
Noi oggi siamo esiti di questo percorso storico e culturale tipico delle società occidentali, anche per la dinamica epigenetica che ci caratterizza, con lavori ancora definiti tipicamente femminili, con parole declinate al maschile.
Penso che oggi questa idea di società sia un ostacolo allo sviluppo sociale, che si voglia o meno definirla patriarcato o un suo esito, in quanto frena lo sviluppo di società più egualitarie, impedendo la piena partecipazione di metà della popolazione alla vita pubblica e al progresso scientifico, culturale e politica e limitando l’innovazione e la capacità delle società di affrontare problemi complessi con prospettive più inclusive.
Questa idea di società semplice, ereditata dal passato, porta al consolidamento di disuguaglianze e si interseca con altre forme di oppressione, come il razzismo, il classismo e l’omofobia, rafforzando sistemi di esclusione per le donne appartenenti a minoranze o comunità marginalizzate. Non bisogna dimenticare poi le doppie o triple situazioni di svantaggio, che coinvolgono le donne di pelle non bianca, povere o appartenenti alla comunità LGBTQ+ in un sistema che privilegia gli uomini eterosessuali e appartenenti a classi dominanti.
Occorre essere consapevoli che occorre elaborare, mentalizzare, decostruire, l’eredità storica di quel modello poiché in una società complessa come la nostra, multietnica e liquida, si perpetuerebbero modelli di autorità verticali e gerarchici, basati sulla subordinazione e sull’obbedienza, ostacolando lo sviluppo di strutture orizzontali più democratiche e partecipative, in un modello autoritario di governance, dove il corpo delle donne viene sessualizzato e ricondotto a modelli estetici o di commercializzazione.
Sono mote le persone, uomini e donne affette da ansia e depressione, ma anche da narcisismo, generate dall’insoddisfazione per non poter raggiungere le loro aspettative: le donne, ancor più, lottano per conciliare le aspettative patriarcali con il desiderio di realizzazione personale.
Propongo una via mediata sulla definizione di “patriarcato”, o del suo sinonimo “fallocrazia”, convinto che oggi ci troviamo in una terra di mezzo, dove ancora ci siano conflitti tra il vecchio e il nuovo modo. Occorre un nuovo termine, per chiarire e affrontare il tema senza rischi di ideologizzazione, superando la definizione ottocentesca di Frederic Engels che lo classificava come “il primo sistema di dominio che stabiliva la sconfitta storica mondiale del sesso femminile” proprio come un vero e proprio sistema politico organizzato di iniqua distribuzione del potere.
Oggi la sconfitta è generale, di tutti, uomini e donne. Non si tratta di soffitto di cristallo, ma qualcosa di più profondo, di epigenetico, che deve essere stimolo alla nostra società occidentale per promuovere globalmente un modello di equità e democrazia, sicuramente non esportabile, ma almeno laico e inclusivo.
Per superare i conflitti ideologici, se per la parola “fascismo” abbiamo sviluppato l’idea della parola “suprematismo”, sempre declinata con il suffisso “ismo”, proprio di tutti gli assolutismi, per il “patriarcato” propongo la parola “patriarcalismo”.
A mio parere “patriarcalismo” si concentra sul ruolo culturale e istituzionale delle società, quale insieme di strutture, comportamenti e ideologie che perpetuano la supremazia maschile e l’autorità del padre o della figura maschile dominante nella società, sia a livello familiare che sociale.
Occorre comprendere le convinzioni culturali, che diventano fondamentali, per rompere gli schemi che lo possono portare alla istituzionalizzazione, rischiando di giustificare ogni azione, dalla più quotidiana alla più violenta, che altro non fa che perpetuare una disumanizzazione della nostra specie.